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Architettura - Arte

Intervista con Charles Garnier

Charles Garnier, architetto francese vissuto nell’800 e autore dell’Opéra di Parigi.

Le interviste impossibili

I: intervistatore

C.G.: Arch. Charles Garnier

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I: Buongiorno, Sig. Garnier

C.G.: Buongiorno a Lei

I: Come si trova nella sua residenza qui a Bordighera?

C.G.: Bè, visto che l’ho progettata io direi bene. Bordighera mi permette di vivere in un clima salubre e senza le pressioni dovute agli impegni parigini.

I: Quando si è trasferito qui?

C.G. Nel 1871, stavo visitando Mentone con mia moglie e girovagando ho scoperto questo splendido posto. Ho deciso di insediarmi qui, ad Arziglia; il terreno era già occupato da una chiesa sconsacrata adibita a scuola, ho così offerto al comune 6000 lire, che li avrebbero utilizzati per costruire una nuova scuola e con essi il mio progetto.

I: Noto un certo viavai in questa villa.

C.G.: Sono i miei amici che mi vengono a trovare, ieri è appena andato via il pittore Meissonier

I: Quindi, nonostante i suoi numerosi viaggi giovanili in Italia non aveva mai visto questa zona della Liguria?

C.G.: No, anche perchè i viaggi di studi organizzati dalla mia Accademia, l’Ecole des Beaux Arts, ci dava un percorso con delle tappe ben precise. In genere si trattava di architetture e opere molto note in Italia.

I: Lei ha frequentato inizialmente L’Ecole de Design se non sbaglio.

C.G.:  Si, L’Ecole de Design era stata creata da Jean-Jacques Bachelier nel 1766 per quegli studenti che non potevano permettersi studi costosi. E’ stato un insegnamento fondamentale per poi entrare nell’Ecole des Beaux Arts verso la metà del 1839.

I: Si dice che non fosse proprio uno studente modello.

C.G:  Effettivamente, non spiccavo particolarmente, ma ero molto brillante nella matematica e nell’architettura. Vinsi vari premi. La scuola, parlo dell’Ecole de Design, organizzava dei concorsi trimestrali; nel 1841 vinsi quello di architettura e stereotomia e arrivai secondo in quello di geometria e aritmetica, questo nel primo trimestre. Nel secondo trimestre vinsi quello di carpenteria.

I: La scuola era organizzata in trimestri mi sembra?

C.G: Si, quattro trimestri, ad ogni trimestre noi studenti facevamo un concorso per misurare la nostra preparazione.

I: C’era quindi un certo spirito agonistico tra di voi.

C.G:  Parecchio, questo atteggiamento agonistico, come dite voi, ci spingeva a migliorarci, ma era necessario una certa forza di carattere dato che il desiderio di emergere era fortemente presente in molti degli studenti.

I:  Se non ricordo male ci fu un episodio che era sintomatico di questo antagonismo. Ma vorrei parlarne dopo perchè fu un aneddoto che riguardò anche l’Imperatrice di Francia.

C.G:   Si ricordo bene

I:  Dicevamo prima della scuola l’Ecole des Beaux Arts, so che organizzava il Prix de Rome, di che si trattava esattamente.

C.G: Il Prix de Rome era un prestigioso concorso di architettura molto difficile da vincere e che permetteva di fare quel famoso viaggio in Italia per visitare le architetture più famose.

I:  Bisognava avere una preparazione particolare?

C.G:  Più che altro era necessario affiancarsi ad un Atelier che potesse insegnarmi a fare quel concorso, come gli architetti sanno, fare un concorso ha delle caratteristiche ben precise e conoscerle significa avere molte più possibilità di vittoria.

I:  Chi lo aiutò in questo percorso?

C.G:  Fu Jean-Arnaud Leveil, dell’atelier Leveil, è il 1841. Poco dopo però mi trasferii all’atelier Lebas di Luois-Hippolyte Lebas. Mi trovavo insieme a grandi architetti tra cui anche Viollet-Le-Duc. Consideri che questo atelier aveva sfornato ben quindici Prix de Rome.

I:  So che Luois-Hippolyte Lebas era anche commissario del Prix de Rome e professore della scuola che proponeva il concorso. Forse un piccolo conflitto di interessi, non le sembra?

C.G:  Che vuole che Le dica, io mi adeguavo ai tempi, cosa poteva fare un semplice studente di fronte a personaggi che avevano rapporti con l’aristocrazia di Francia. Non mi sembra che nel vostro tempo le cose siano tanto migliorate.

I:  Ah bè, effettivamente. Pagava per stare in questo atelier?

C.G:  Si, ben 20 franchi al mese.

I:  Alla fine anche Lei vinse il Prix de Rome

C.G:  Si, la prima volta fallii anche se ero riuscito a superare la prima fase ed entrare tra i migliori; provai poi nei 2 anni successivi fino a che nel 1848 uscii vincitore, a quel punto ero pronto per il mio viaggio in Italia.

I: Una curiosità, prima di passare al suo viaggio in Italia, come era strutturato il concorso Prix de Rome?

C.G:   Solo per partecipare c’era una prima selezione agli inizi di marzo con una prova di 12 ore, solo i primi trenta passavano e potevano poi partecipare al concorso vero e proprio che durava 24 ore. I primi otto sarebbero stati i finalisti (fine luglio) con la realizzazione di progetti definitivi.

I: Torniamo ai viaggi in Italia, come iniziarono?

C.G: Arrivammo a Roma il 16 gennaio del 1849 per soggiornare a villa Medici, ma date le vicissitudini politiche della città dal 6 maggio al 10 luglio mi trasferii insieme agli altri artisti a Firenze. I rivestimenti policromi delle cattedrali di Firenze mi hanno affascinato.

I:  E’ più stato a Roma?

C.G:  Si, dopo Firenze tornai a Roma a Villa Medici. Ci chiamavamo i pensionnaires, disponevo di una camera privata, e due pasti al giorno ma soprattutto la compagnia di altri artisti. Le feste di aristocratici erano frequenti.

I:  In che consisteva il suo lavoro in Italia?

C.G: Avevo il compito di eseguire delle tavole da inviare a Parigi in modo che potessero giudicare i miei studi. I miei disegni erano molto vari, trattavano di architetture ma anche di paesaggi; capitava anche di cambiare il programma imposto dalla scuola di Parigi per addentrarci in in luoghi insoliti. Qui potete vedere un disegno a matita e carboncino che ritrae la veduta di tombe etrusche.

Disegno tombe etrusche
Tuscania – veduta di tombe estrusche, 1849. 23×34,9

I:  Immagino che l’Ecole des Beaux Arts non ne fosse molto contenta.

C.G:  Effettivamente no, preferivano farci visitare edifici molto antichi ma noi ci dedicavamo anche a quelli contemporanei. Dico noi perchè spesso viaggiavamo in gruppetto.

I:  Tutti architetti?

C.G:  No anzi, tra di noi c’erano molti pittori. E’ proprio grazie a loro che ho acquisito questo interesse per il paesaggio e una diversa maniera di rappresentare le vedute prospettiche; devo moltissimo ai miei amici pittori e in effetti li ho richiamati quando inizia l’Opera.  Ecco vede, questo è lo scorcio prospettico del campanile del Duomo di Pistoia che disegnai nel 1849:

Disegno a matita del campanile del Duomo di Pistoia
Pistoia. Campanile del Duomo. 38,7 x 32 cm

I:  Potrei vederne anche altri?

C.G:  Certo, questo è il palazzo del Comune di Pistoia e l’altro è il battistero di San Giovanni Battista in Conca sempre a Pistoia:

Prospetto palazzo del Comune a Pistoia
Palazzo del Comune di Pistoia
Pistoia - Battistero San Giovanni Battista in Conca
Battistero San Giovanni Battista in Conca

 

I:  Possiamo dire che per Lei l’Italia è stata una tappa fondamentale?

C.G:  Assolutamente si, è stato per me un momento di formazione che mi ha influenzato profondamente. Mi ricordo ancora con estremo piacere il periodo trascorso in Toscana nell’estate del 1849, e poi a Cerveteri, Corneto (l’attuale Tarquinia), Viterbo, Tivoli.

I:  Esattamente come operavate?

C.G:  Avevamo il compito di fare un rilievo dei monumenti antichi con studio dei dettagli, questo per i primi tre anni, spedivamo i nostri disegni a Parigi, quelli che noi chiamavamo envois. Il quarto anno veniva richiesta una restituzione completa e il quinto realizzavamo un progetto nostro.

I:  Cosa le ha colpito in modo particolare dell’Italia?

C.G:  Una domanda a cui non si può rispondere così di getto, per quello che mi viene in mente oggi ricordo con estremo piacere i colori delle tombe etrusche di Tarquinia; gli stili di questa architettura stratificata presente a Tuscania nella chiesa di San Pietro e di Santa Maria Maggiore. Mi colpì l’estrema armonia di accostamento di diversi materiali originati in epoche diverse, da quella etrusca a quella romana per arrivare attraverso il gotico a quella rinascimentale. Posso dire che il richiamo all’antico è stato sempre presente in me.

I:  Come fu il suo periodo a Roma?

C.G:  Stupendo. Il 13 ottobre del 1849 ottenni un permesso di tre mesi per disegnare gli avanzi del foro di Traiano e il 15 marzo quello per rilevare il tempio di Vesta che in realtà ho scoperto poi essere il tempio di Hercules Victor, Ercole era il patrono della corporazione degli oleari, i mercanti d’olio, fu commissionato da un mercante romano; in questo disegno ho ipotizzato una possibile ricostruzione:

Ricostruzione Tempio di Ercole al Foro Boario
Ricostruzione Tempio di Ercole al Foro Boario

 

I:  Come la giudicarono questa ricostruzione?

C.G:  Secondo gli esaminatori un pò affrettata, tipica di un pensionnaire alle prime armi.

I:  Alquanto severi questi esaminatori

C.G:  Erano molto scrupolosi nei giudizi, ma una preparazione adeguata e impegnativa ci avrebbe portato a realizzare un’architettura degna di questo nome.

I:  Ci furono altre tappe del suo viaggio in Italia?

C.G:  Certo, nel 1850 arrivai a Venezia, un luogo di grande fermento culturale, una città invasa da pittori dalla barba bianca e giovanotti di primo pelo. Mi dilettai anch’io in acquerelli della Piazza di San Marco e del Palazzo dei Dogi. Di questi esegui anche le mie solite misurazioni e rilievi dettagliati. Il palazzo Ducale in modo particolare mi colpì per la sovrapposizione di stili bizantini, gotici e rinascimentali in una perfetta combinazione.  La presenza di elementi contrastanti mette in luce quell’intima correlazione tra stile e società, nella ricerca di un rapporto tra uomo e vissuto quotidiano.

I:  Da cosa è determinato lo stile?

C.G:  Da una perfetta mescolanza di elementi chiamati dettagli. Il paramento, le piccole sculture, le policromie sono fondamentali nel riconoscere uno stile. La policromia, la dissimmetria, la commistione stilistica sono gli elementi caratterizzanti della mia architettura. In questo mi accosto al grande John Ruskin e al suo interesse per i particolari.  E’ a Venezia che ho maturato il mio modo di fare architettura, li ho trovato le mie risposte progettuali.

I:  Cosa fece dopo Venezia?

C.G:  Andai in Campania e cominciai il mio terzo anno. Napoli, Pompei, Ercolano, Pozzuoli. Scelsi per i miei studi il Tempio di Seuripide a Pozzuoli ottenendo anche qui un permesso per fare i rilievi. Da Pozzuoli andai a Pompei. Le pitture pompeiane confermarono l’importanza del colore nell’antichità, sono rimasto totalmente assorbito dalla forza evocatrice di questi dipinti, fonte di ispirazione per la progettazione degli spazi teatrali che espressi proprio nell’Opera di Parigi.

Corneto, tomba etrusca - Acquerello su lucido.
Corneto, tomba etrusca – Acquerello su lucido.

I:  Cos’altro le hanno ispirato queste città romane?

C.G:  Il fatto che un edificio romano poteva dirsi completo solo con una ricca decorazione policroma, che l’entrata di queste ville romane quando di giorno avevano i portoni aperti si potevano intravedere gli interni grazie alla sapiente messa in scena degli assi.

I:  Che succede in seguito?

C.G:  Da Napoli vado a Palermo e poco dopo rientro a Roma. Nel 1852 tuttavia parto per la Grecia, è il 28 febbraio. Decido di svolgere il mio quarto anno studiando il Tempio di Giove Panellenico in seguito identificato con il Tempio di Aphaia. Fu un lavoro molto dettagliato.

I:  Ci furono altre tappe importanti?

C.G:  Si, dopo la Grecia tornai a Napoli, siamo nel gennaio del 1853, fu un periodo molto interessante e stimolante. Grazie al duca di Luynes, Joseph d’Albert che mi propose di seguirlo alla scoperta di cattedrali e tombe angioine. Insieme a me un folto gruppo di compagni. Facemmo un interessante lavoro di studio dei baldacchini e dei sarcofagi in cui erano raffigurati una moltitudine di figure che hanno arricchito il mio bagaglio delle forme.

I:  Quanto furono importanti queste forme, queste decorazioni?

C.G:  Importantissime, sono alla base dell’architettura, elementi che si accostano in maniera continue piccole e grandi forme sinuose e squadrate definiscono più di quanto si possa pensare oggi nel pensiero contemporaneo

I:  Come fu il suo ultimo anno di pensionnaire in Italia?

C.G:  Proficuo per il mio futuro lavoro ma problematico con la mia Accademia. Ritardai la consegna per dedicarmi ad altri argomenti grazie al mecenate Debacq. E’ probabile che l’accademia non la prese bene e fu alquanto severa nel giudizio finale.

I:  Severa fu anche l’imperatrice María Eugenia (moglie di Napoleone III ) quando vinse il concorso per la realizzazione dell’Opéra di Parigi nel 1861

C.G:  Ahaha, ricordo con estremo piacere quei momenti. Al concorso parteciparono 170 progettisti, partecipò anche l’Imperatrice, risultai quinto al primo grado e successivamente vinsi il secondo grado tra noi cinque. L’architetto Garnaud, arrivato terzo alla prima sessione morì di crepacuore per il dolore.   L’Imperatrice invece era furiosa.

I:  Per quale motivo?

C.G:  Affermava che non si riconosceva uno stile, non era un Luigi XIV, ne un Luigi XV e ne un Luigi XVI.

I:  Cosa le rispose?

C.G:  Dissi che era un Napoleone III……

I:  L’Opéra è l’incarnazione del secondo Impero, cos’è che guida questa opera?

C.G:  L’istinto primordiale dell’uomo, ossia quello di riunirsi, di stare insieme,  la socialità. Lo spettacolo non è solo sul palcoscenico ma anche tra gli spettatori. Tutto è spettacolo, anche l’attendere in coda per fare i biglietti.

I:  Come mai quegli specchi al Foyer principale?

C.G:  Affinchè le donne possano guardarvisi e dare un ultimo tocco al loro abbigliamento e alla loro espressione prima di salire la scalinata. Gli incontri, i saluti, le figure sorridenti, tutto avrà un’aria di festa e di piacere e senza rendersi conto della parte dovuta all’architettura in questo effetto magico, tutti ne godranno e renderanno omaggio a questa grande arte, così potente ed elevata nei suoi risultati.

I:  Noto una ricca decorazione in questo progetto. Mi sembra di rivedere i colori etruschi e romani.

C.G:  Assolutamente si, una decorazione ricca e sontuosa. Farete le vostre case meno bianche scrissi

I:  Alcuni non apprezzeranno tale ricchezza. Il bianco è per i moderni il non-plus-ultra della decorazione. Per esempio Le Corbusier detestò l’Opéra.

C.G:  Essere disprezzati da Le Corbusier mi conforta non poco, basti vedere la risposta del pubblico al suo costruito…..

I:  So che Lei progettò direttamente anche la ventilazione e il sistema di riscaldamento. Come mai?

C.G:  Dovevo controllare io stesso la realizzazione di questi servizi in modo da inserirli perfettamente nel contesto.

I:  Di contro ebbe grandi elogi da Haussmann

C.G:  Haussmann ne era entusiasta, eliminò anche le alberature previste nel progetto per meglio far vedere la facciata di un’opera dove l’arte vi soggiorna, e in questa esplosione di elementi non temo nemmeno il cattivo gusto se in esso c’è passione e calore.

I:  Quali altre opere progettò di un certo rilievo

C.G:  Il casinò di Montecarlo, e la mia casa a Bordighera dove siamo oggi. Ma oggi non vedo bene l’architettura.

I:  Che intende dire? Non le piace l’architettura del XX e XXI secolo?

C.G:  Per la maggior parte sono costruzioni senza immaginazione.

I:  Ossia?

C.G:  Che non vedo bene, a differenza di Viollet Le Duc, l’architettura basata sul razionalismo, sulla scienza, sull’ingegneria; il ferro è un mezzo e non potrà mai essere un principio. Ciò che deve guidare il costruito sono le dinamiche sociali. Voi vivete in una società dove pensate di poter controllare tutto salvo poi accorgersi che controllate ben poco. Progettare un edificio significa progettare una socialità che non può essere racchiusa semplicemente in una formula matematica, non sono le dinamiche delle strutture a guidare il costruito ma quelle sociali.  Dobbiamo dare ampio risalto alla nostra immaginazione.

I:  Bene Sig. Garnier, la ringrazio sentitamente per questa interessante intervista, le auguro una buona serata.

C.G: Buona serata a Lei


 

Si riporta il giudizio finale dell’Accademia su Charles Garnier alla fine dei 5 anni di studio alla presentazione di un edificio progettato dallo studente:

” La facciata manca di carattere (..) e indipendentemente dai difetti di gusto e di studio che si fanno notare non si trova nessuna unità. La disposizione é viziosa anche nei dettagli, l’impiego delle colonne piatte a fasce impostate su arcate più piccole di quelle che si intersecano, campate ad arco accanto a campate quadrate presentano un amalgama di vari elementi non pensati per essere utilizzati contemporaneamente e che si ritrovano nella sezione anche se in misura minore”


Bibliografia:

  1. Charles Garnier in Italia –  Massimiliano Savorra – Ed. Il poligrafo
  2. Architettura dell’800 – Robin Middleton, David Watkin – Ed. Electa
  3. Guida Archeologica di Roma – Filippo Coarelli – Arnoldo Mondadori Editori

 

 

© Arch. Alessandro Plini (www.archihouse.it)

Contatti per progettazioni: studioarchihouse@gmail.com o info@archihouse.it

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