(25-12-2018)
Capire quello che secondo me non va fatto, è un importante primo passo per riprendere in mano la progettazione architettonica per come essa si è sviluppata nella storia, dando ampio spazio a ragionamenti che siano il più possibile vicino alla pratica, abolendo astruse teorie che vorrebbero dimostrare l’indimostrabile, definendo un successo quello che all’atto pratico le persone hanno rifiutato.
Ecco dunque che noi rifiuteremo quello che è stato rifiutato e non le concederemo appello ora come in altre e prossime discussioni.
Valuteremo in modo quanto più razionale possibile le caratteristiche che contraddistinguono le opere in rapporto alle misure e alle proporzioni esaminate nel precedente dell’articolo. Queste infatti ci potranno guidare nella comprensione di quanto le architetture in essere si avvicinano e rispettano quelli che io ho chiamato “i modi dell’architettura antica“.
Il modo dell’architettura antica si fonda su un concetto che intende mettere alla luce le contraddizioni di alcune opere, soprattutto moderne, estrapolandone i concetti, elaborati e definiti grazie all’osservazione diretta della realtà circostante.
Questo perché il successo o l’insuccesso di un’opera è decretato dal suo vissuto quotidiano che si stabilisce e si radicalizza nella storia, e non dal progetto da cui nasce.
In questa fase esamineremo l’importanza del rapporto geometrico come parametro che assume un significato che va oltre le semplici misurazioni.
Al di la dei valori presenti in un manufatto o in uno spazio (come potrebbe essere una piazza) più o meno grande che nei significati e nelle spiegazioni di un’analisi ben articolata trovano conferma delle sensazioni che suscitano in noi l’interesse di alcune opere, il cammino di un osservatore verso di esse trova forza anche nei rapporti geometrici, dove si palesa quella biunivocità in cui quelle stesse misure ci guidano all’osservazione.
Si può essere più o meno esperti di una materia come questa, pur tuttavia anche essendo privi di una conoscenza specifica per apprezzarne o meno i particolari, la geometria ne delinea l’insieme ed in tal modo riusciamo immediatamente a percepire l’oggetto che ci si prospetta.
Due sono dunque i soggetti che sempre tornano, la geometria e l’uomo, la prima prende spunto dalle misure della natura circostante e dal corpo umano (vedi parte 1), il secondo che ne ha ispirato i concetti e lo studio viene utilizzato non solo per un controllo dell’opera ma anche per un bisogno di legare l’esistenza di un manufatto a questo, ai movimenti, agli occhi che cercano la direzione del proprio sguardo, in un incontro che pone in termini ben precisi la propria rappresentazione: il rapporto geometrico.
Questo fatto determina una concretezza visibile e documentata e fa nascere quel dualismo tra il soggetto architettura e il soggetto uomo, che nella sua semplice ma efficace materialità trova l’apice dei suoi intenti.
La fondamentale linea che unisce i due soggetti è dunque espressione di un rapporto fisico che sempre dovrebbe essere presente ma che spesso viene ignorato.
Non è questa un mera questione di misure ma nasce fondamentalmente dalla necessità di far si che in questo rapporto gli elementi costruiti possano assimilarsi ed essere assimilati dagli uomini. E’ un passo essenziale, senza di esso si avrebbe, e si ha, quell’effetto distorto che determina l’alienazione degli elementi e degli spazi architettonici che sfuggono dal nostro mondo negandone l’appartenenza, assumendo connotati ben diversi da quelli che si erano pensati nella progettazione.
Così nel nostro incedere in strada osserviamo con interesse gli edifici intorno a noi e nel’immediatezza del nostro sguardo cogliamo solo alcuni dei possibili aspetti, essendo la visuale per nostra natura limitata ad una precisa angolazione. Volendoli osservare nella loro interezza, dovremmo modificare la nostra visuale o allontanarci allungando la prospettiva.
Da ciò si deduce in modo ovvio che più l’edificio è alto e/o lungo e maggiore è la nostra difficoltà ad esaminarlo nella sua totalità; un allontanamento fisico e concreto che diventa anche mentale, dove il rapporto tra uomo ed edificio viene a rompersi per delle semplici relazioni geometriche.
L’edificio è vissuto perché vicino, essendo tale lo possiamo esaminare con più accuratezza ed apprezzarlo nei particolari, se esso fosse molto alto, come nell’esempio dell’immagine l’osservazione sarebbe più difficile ed anche se gli fossimo accanto ci porremmo comunque, per sua stessa natura, in una condizione di lontananza.
Questo dualismo uomo edificio definito dalla semplice distanza è un parametro che ci fa capire perché alcune strutture siano nel tempo meglio apprezzate da chi le vive. Non è certamente l’unico parametro, ne analizzeremo altri, tuttavia assorbe in se quella necessità di non sentirsi alienati nel desiderio di un vivere dentro e fuori le mura delle architetture esistenti.
Questo ambivalente e ricercato rapporto fa assumere alle proporzioni, viste in precedenza, un ruolo guida di tutta la progettazione sia che si tratti di un dettaglio che dell’insieme.
Un ruolo che viene negato e ignorato, per i motivi appena detti, dalle “affascinanti” creazioni dei grattacieli, simboli di una potenza che viene confusa con la bellezza, non a caso nella loro imponenza avvertiamo confuse sensazioni che non riescono a prendere corpo, in un continuo contrasto tra il reale e l’ideale, così nell’ammirazione l’angoscia, nello stupore la nostra piccolezza.
Tutto ciò che in essi è presente è tuttavia mancante e dunque ci sfugge, senza che queste strutture, così ben studiate, possano colmare la nostra ricerca.
Una ricerca che si basa sui rapporti dimensionali, ed infatti se da esse ci allontaniamo per meglio guardarle le perdiamo, avvicinandosi ci sfuggono poiché manca quel dualismo fisico tra l’uomo e il grattacielo; l’aberrazione di tutte le misure non sembra completare l’effetto desiderato che viene sconquassato nelle mire di obiettivi a mio giudizio ingannevoli.
Il grattacielo si esprime in una verticalità fortemente preponderante rispetto alle altre direzioni, ed in questa manifesta l’intenzione di farsi imponente, dove nuovi progetti ne esaltano le caratteristiche che seppur possiamo giudicare piacevoli, all’atto pratico vanno escluse dall’armonico principio della proporzione tra il tutto e le parti.
Così come non è sufficiente apprezzare un quadro o un affresco solo perchè occupa l’intera parete di un edificio allo stesso modo l’esagerata verticalità non basta ad esaltare i principi estetici che sono alla base del “modo dell’architettura antica”.
Certamente non voglio negare la tendenza ad una architettura che si riconosce fortemente in certi schemi, ne fermare la costruzione di questi enormi contenitori, facciano pure!
Piuttosto si cerca di far capire un rapporto che in questo caso risulta limitato e spesso mai realizzato.
Queste considerazioni non saranno sufficienti a calmare lo sviluppo in altezza dei propri desideri ma potranno destare gli animi nella consapevolezza dei loro atti.
La geometria non solo come controllo ma anche come rapporto ci addentra a considerazioni fondamentali per capire sempre meglio la materia dell’architettura, e i suoi argomenti trovano sviluppi nei libri di molti autori importanti.
Ed anche se l’assunto testé citato può apparire scontato ciò che viene prodotto davanti ai nostri occhi determina l’esigenza di una maggiore sensibilizzazione che se pur ovvia spesso non trova riscontro nella realtà quotidiana.
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