Nell’evidente intreccio che la storia ha con la contemporaneità i rapporti tra presente e passato non sempre riescono attualmente ad esplicitare con chiarezza i presupposti di quelle teorie che si definiscono innovative.
Nello studio e nell’analisi dell’architettura si cerca di tenere ben presente gli insegnamenti dei personaggi che hanno elaborato questa materia nei suoi innumerevoli aspetti, nella volontà di raggiungere quegli obiettivi che già altri hanno saputo trasferire dalla teoria alla pratica, da un’idea impostata graficamente su un foglio alla realtà quotidiana.
In ogni momento abbiamo sempre cercato di trovare ispirazione dai grandi maestri del passato, da chi prima di noi aveva trovato soluzioni ottimali al buon vivere, intendendo questo il senso finale del fare architettura.
Siamo dunque al cospetto di opere del passato e del presente e ci accingiamo a considerare quale sia il metodo corretto per poter capire cosa in un’opera ha fallito e cosa in un’altra invece ha funzionato.
Al di la delle considerazioni soggettive che ognuno di noi può avere sulla valenza estetica di certi manufatti quello che scopriremo e analizzeremo sarà più legato agli effetti che questi provocano nel vissuto quotidiano; in questo modo ci legheremo all’utilizzo dell’architettura che a mio giudizio precede la nozione di spazio; intendendo utilizzo non come utilitas, ma dandogli un’accezione più ampia che abbraccia tutte le sensazioni di chi in questa si immedesima e ne fa parte, diventando essa stessa elemento integrante della nostra vita, delle nostre emozioni giornaliere…..dispiaceri, gioie, amori, tramonti e notti passate a sorvegliare le sue mura.
Esse entrano in noi con i loro mezzi, con il loro linguaggio, il linguaggio dei materiali e delle forme di questi stessi.
In fondo sono questi elementi ad ispirarci, proprio perchè lo scopo finale dell’architettura è semplice e sperimentato, assimilato da chi ne usufruisce gli spazi.
Ed è proprio quello che intendo per utilizzo, termine che comunque approfondiremo in altri momenti; per ora si vuole evidenziare la sola differenza di approccio, quello che sinteticamente ho chiamato metodo, e che scaturisce dall’osservazione pratica mettendo a confronto tipi di elaborazioni realizzate seguendo i dettami di una presunta originalità legata a intrecci volumetrici, e spiegando come in molti dei suoi aspetti abbiano potuto fallire nella realtà.
Elaboreremo un confronto di comodo tra quelli che chiameremo i momenti dell’architettura antica e quelli dell’architettura moderna senza voler con questo stabilire per forza una netta divisione tra periodi storici, ma siano solo da compendio alla comprensione di un inquadramento generale che miri a mettere in luce le differenze legate ai risultati ottenuti nel corso della storia, indicandoci la strada giusta per riuscire a comprendere gli errori che alcune opere “moderne” hanno evidenziato fin dalla loro comparsa.
Come detto parleremo di momenti e non di periodi storici per evitare, nel porre delle barriere troppo rigide, di incanalare il discorso in uno scontro tra epoche successive, quando in realtà si intendono confrontare non due tecnologie ma un modo di pensare con un altro: il modo dell’architettura antica e il modo dell’architettura moderna.
In questi scritti non ci sarà nessuna esaltazione del passato, non è nelle nostre intenzioni in quanto troveremo i modi dell’architettura antica anche in opere contemporanee ed in esse ne apprezzeremo i risultati.
Ecco quindi in breve spiegato il nostro approccio, che farà capire come il salto quantitativo dell’architettura che ha investito le nostre città non è andato di pari passo con il salto qualitativo; e l’avanzare dell’urbanizzazione “moderna” ha, non solo sconvolto le nostre città, ma costruito una sua estensione del tutto estranea.